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LASCIATECI LAVORARE
l'editoriale-invito del Presidente Galimberti

Como 3 gennaio 2013


Qualche settimana fa, i nostri Giovani Imprenditori Artigiani si sono cimentati nel loro dibattito annuale, invitando prestigiosi ospiti a rispondere ad un semplice interrogativo: è possibile oggi immaginare il futuro? Un esercizio difficile da affrontare di questi tempi, in un panorama costellato di complessità, trasformazioni ma soprattutto incertezze, al quale però voglio provare a dare, attraverso queste righe, una mia personale interpretazione. Dal punto di vista economico, nel quadro d’insieme in cui le nostre aziende oggi si trovano ad operare, ritengo oltremodo difficile intravvedere un futuro di crescita e sviluppo del sistema economico e imprenditoriale del nostro Paese, se alle buone intenzioni non seguiranno azioni concrete e una buona dose di volontà e buon senso. Le premesse non sono delle più incoraggianti. C’è per esempio chi parla con “incosciente leggerezza” di una nuova possibile patrimoniale. Ma perché l’IMU che cos’è e cosa è stata? Si stanno toccando i nervi scoperti dello Stato Sociale: pensioni e sanità, senza per questo valutarne appieno gli effetti che ne potrebbero scaturire. Le prime scintille di piazza sono già scoccate. Un invito alla prudenza per chi sta guidando e andrà a guidare il Paese è certamente d’obbligo. Parlare di leva fiscale oggi è come sparare sulla Croce Rossa. Abbiamo raggiunto un limite il cui superamento potrebbe sancire la depressione demografica del sistema imprenditoriale italiano. Solo nell’ambito energetico, abbiamo registrato nell’ultimo anno un aumento della tassazione di oltre il 18%. E’ un modo improponibile e insostenibile per superare la crisi. È infatti esattamente l’opposto di quello che si dovrebbe fare per lo sviluppo! L’ammalato non si cura con le bastonate. E’ dei giorni scorsi il dato Istat che conferma ancora una volta le alte percentuali di perdita di mano d’opera nelle grandi imprese mentre, le piccole e le piccolissime tengono duro. Si vuole demolire questo unico argine alla disoccupazione? La domanda interna conferma un trend in calo, dovuto prevalentemente all’incertezza, al minor reddito disponibile e alla contrazione del credito. Su quest’ultimo tema credo sia opportuna una riflessione, che riconduce a segnali non proprio incoraggianti per l’immediato futuro. Sono scarsi gli investimenti, si ricorre al credito per anticipare le spese a brevissimo termine, 12/24 mesi, cercando di esporsi il meno possibile. Vale a dire navigazione a vista in un orizzonte nebbioso e in completa assenza di vento. I dati dell’utilizzo del credito oggi evidenziano un fenomeno controverso: le risposte alla crisi, soprattutto quella finanziaria sono state scarse se non addirittura nulle o dannose, come l’aumento della pressione fiscale. Lo spauracchio di un vero e proprio “credit crunch” incombe ancora e rischia di minare definitivamente la già bassa fiducia degli imprenditori. I temi complessi di una politica economica che non sta rispondendo efficacemente all’emergenza del Paese, non favorisce certamente l’uscita dal tunnel e, riproponendo i temi di una crisi che è passata dalla finanza all’economia reale, attraverso strette creditizie, hanno di fatto privato di energia la competitività delle nostre aziende. Stiamo ragionando ormai su un sistema economico che non ha più nulla di razionale, ma poggia su aspettative e speranze, credenze ed emozioni. Qualche esempio? Alcuni recentissimi dati macro-economici di raffronto tra Italia e Germania rilevati da Marco Fortis della Fondazione Edison ci dicono che: la crescita economica degli ultimi 15 anni è stata “drogata” dai debiti, soprattutto privati, tranne che in Germania e Italia. Questi stessi paesi, riscontrano oggi il livello più basso di debito privato rispetto ai maggiori Stati: Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna in testa. In Europa, Italia e Germania sono i paesi che hanno sforato di meno i parametri di Maastricht. E ancora, prima della crisi, gli occhi del mondo erano concentrati sui debiti inglese e americano. Poi, dal 2008 in avanti è cambiato qualcosa nei confronti del nostro Paese, del quale si è visto solo l’accrescere del debito pubblico. Quello stesso debito pubblico che, negli ultimi vent’anni è invece cresciuto maggiormente in paesi come la Francia o la stessa Germania. Nel lungo periodo inoltre, i debiti pubblici di Italia e Germania sono i meno critici, mentre gli analizzatori prevedono dinamiche esplosive per i debiti di Gran Bretagna e Stati Uniti. Aggiungiamo a tutto ciò, che neppure la Germania ha prodotto lo sforzo “fiscale” come quello che stiamo sopportando nel nostro Paese, possiamo comprendere di quale irrazionalità stiamo parlando, e di un’onda emotiva carica di luoghi comuni e maldicenze, che hanno di fatto minato la credibilità competitiva del nostro Paese, relegandolo insieme alle economie dei “Pigs” (Portogallo,Irlanda, Grecia e Spagna) dai quali invece siamo molto ma molto lontani. In questo quadro, in cui gli aspetti positivi sono chiari e incontrovertibili, perché si richiedono ancora e ancora sacrifici al Paese senza intervenire laddove gli sprechi e i costi ingiustificati zavorrano la fiducia di cittadini e imprese, e proiettano nel mondo ombre di un Italia che nella realtà non esistono? Come è possibile in questo contesto immaginare un futuro per le nostre aziende? Fino ad oggi non sì è stati capaci di prevedere l’imprevisto, ma si è cercato nei modi più maldestri di porvi comunque rimedio deprimendo la struttura portante del Paese: le milioni di piccolissime imprese che creano quel reticolato economico che assicura occupazione (gli addetti nel lavoro autonomo rappresentano il 46% della forza lavoro) e produzione di ricchezza. Non si è percorsa invece, né si sta percorrendo la strada della terapia ad una diagnosi di un male oltremodo noto, che non sta certo nelle file delle nostre imprese e dell’economia reale. Il nostro appello è: lasciateci lavorare. Lasciateci esprimere le nostre capacità, produrre e vendere la nostra qualità. Se vogliamo provare a rimetterci in piedi è necessario che lo Stato non crei altri ostacoli e non metta altri pesi ai nostri piedi che c’impediscono di correre a fianco dei nostri concorrenti. Siamo portatori di un patrimonio di conoscenza ed esperienza unica, siamo testimoni del saper fare e di un prodotto unanimemente riconosciuto ed apprezzato in tutto il mondo. Lasciateci lavorare e vedrete che il Paese saprà reagire e risollevare le sorti di un futuro nel quale oggi ci vuole ancora tanta, ma tanta immaginazione per riuscire a vederlo.


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