Le faq fiscali

 

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    Pubblicata il: 20-09-2019

    Oggetto

    Mancata applicazione split payment

    Domanda

    Nel mese di gennaio 2019 è stata emessa una regolare fattura (elettronica) nei confronti di una società pubblica. Dall’estratto conto bancario di marzo si è riscontrato che il cliente ha pagato l’importo al netto dell’IVA. Il motivo va collegato al fatto che la società pubblica ha applicato lo split payment. Ora, avendo liquidato l’IVA di gennaio conteggiando anche l’importo di tale fattura, come può essere recuperato il maggior versamento?

    Risposta

    Come specificato dall’Agenzia nella Risposta 18.12.2018, n. 111, esaminando il caso di una società controllata direttamente da un Ente pubblico non economico, rientrante nell’ambito soggettivo di applicazione dello split payment di cui all’art. 17-ter, DPR n. 633/72, tale meccanismo rappresenta una “misura antifrode†e “non fa venire meno in capo al fornitore la qualifica di debitore dell’imposta in relazione all’operazione effettuata nei confronti della PA e Societàâ€. Nella fattura relativa ad operazioni riconducibili all’ambito applicativo del meccanismo in esame i fornitori devono riportare l’indicazione “scissione dei pagamenti†o “split paymentâ€. La stessa Agenzia evidenzia che: - nel caso in cui la fattura non contenga la predetta indicazione, è applicabile la sanzione ex art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 471/97 (da € 1.000 a € 8.000); - in relazione all’IVA indicata in fattura la “PA e Società†sono responsabili del relativo versamento all’Erario. L’Agenzia conclude specificando che “ove il fornitore abbia emesso fattura ritenendo, erroneamente, che per la stessa non trovasse applicazione il meccanismo della scissione dei pagamenti lo stesso dovrà procedere ad emettere apposita nota di variazione ex art. 26, terzo comma, del Dpr n. 633 del 1972 e l`’missione di un nuovo documento contabile recante l`indicazione «scissione dei pagamenti»â€. In caso di mancata “attivazione†del cedente / prestatore, in capo alla “PA e Società†acquirente / committente scatta l’obbligo di regolarizzazione dell’operazione ai sensi dell’art. 6, commi 8, lett. b) e 9, D.Lgs. n. 471/97.

    Pubblicata il: 20-09-2019

    Oggetto

    Possesso quota srl in liquidazione e adozione regime forfetario

    Domanda

    Un soggetto possiede una quota di maggioranza di una srl (in liquidazione) esercente attività di ristorazione. Nell’oggetto sociale risulta ricompresa anche l’attività di commercio al dettaglio di generi alimentari. Il socio intende aprire un’attività di vendita al dettaglio di generi alimentari stagionale. Si chiede se il contribuente può adottare il regime forfetario.

    Risposta

    L’art. 1, comma 57, lett. d), Finanziaria 2015, come modificato dalla Finanziaria 2019 prevede, in particolare, che il regime forfetario non può essere adottato dai soggetti che controllano, direttamente o indirettamente, srl le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dall’imprenditore / lavoratore autonomo. Come specificato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 10.4.2019, n. 9/E affinché operi la causa ostativa è necessario il verificarsi di entrambe le predette condizioni, ossia: - controllo diretto / indiretto della srl; - esercizio da parte della stessa di attività direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dall’imprenditore individuale / lavoratore autonomo. La stessa Agenzia nella citata Circolare n. 9/E ha chiarito che per individuare la riconducibilità o meno all’attività svolta dalla srl con quella svolta dal soggetto forfetario, occorre avere riguardo all’attività effettivamente svolta (indipendentemente dal codice Ateco dichiarato). Quindi, nel caso di specie, il soggetto nonostante possieda una quota di maggioranza della srl, può applicare il regime forfetario poiché l’attività che intende aprire (commercio al dettaglio di generi alimentari) è diversa da quella riconducibile alla società (ristorante).

    Pubblicata il: 20-09-2019

    Oggetto

    Detrazione IRPEF sostituzione caldaia

    Domanda

    Nel 2018 un contribuente ha sostenuto una spesa per la sostituzione della caldaia del proprio appartamento con una nuova caldaia a condensazione. Per tale intervento quale percentuale di detrazione gli spetta (50% o 65%)?

    Risposta

    La Finanziaria 2018 ha: - prorogato la detrazione per gli interventi di riqualificazione energetica per le spese sostenute fino al 31.12.2018 (la Finanziaria 2019 ha disposto la proroga fino al 31.12.2019); - differenziato la percentuale di detrazione spettante (50% / 65%) a seconda che la sostituzione dell’impianto di climatizzazione invernale preveda l’installazione di: - caldaie a condensazione con efficienza energetica stagionale per il riscaldamento ambientale almeno pari al valore minimo della classe A di prodotto (detrazione pari al 50%); - caldaie a condensazione con le medesime caratteristiche di cui sopra e, contestualmente, di sistemi di termoregolazione evoluti (detrazione pari al 65%); - generatori di aria calda a condensazione (detrazione pari al 65%). Ciò è confermato anche nel vademecum “Caldaie a condensazione†predisposto dall’ENEA e disponibile sul proprio sito Internet. Nel caso di specie va innanzitutto verificato se la nuova caldaia soddisfa il valore minimo di efficienza energetica (classe A). In caso affermativo, trattandosi di mera sostituzione della caldaia esistente con una nuova caldaia a condensazione, il contribuente può usufruire della detrazione per riqualificazione energetica nella misura del 50%, nel limite massimo di detrazione pari a € 30.000 (spesa massima € 60.000). Diversamente, al contribuente non spetta alcuna detrazione per riqualificazione energetica ex Legge n. 296/2006, ma è possibile fruire della detrazione per recupero del patrimonio edilizio ex art. 16-bis, comma 1, lett. h), TUIR, in quanto l’intervento comporta un risparmio energetico (la nuova caldaia ha “prestazioni†migliori della precedente).

    Pubblicata il: 20-09-2019

    Oggetto

    Regolarizzazione incompleto invio “spesometro esteroâ€

    Domanda

    Dopo aver inviato i dati degli acquisti esteri registrati nei mesi di febbraio / marzo 2019 si riscontra la necessità di “integrare†la comunicazione relativa a marzo con 2 fatture. A quali sanzioni è soggetta? È possibile usufruire del ravvedimento?

    Risposta

    L’invio telematico del c.d. “spesometro esteroâ€, relativo ai mesi di gennaio, febbraio e marzo, ossia dei dati relativi alle cessioni e prestazioni effettuate / ricevute verso / da soggetti esteri non documentate da fattura elettronica / bolletta doganale da parte dei soggetti residenti / stabiliti in Italia obbligati ad emettere fattura elettronica, doveva essere effettuato entro il 30.4.2019. L’art. 11, comma 2-quater, D.Lgs. n. 471/97, per l’omessa / errata trasmissione dei dati prevede una sanzione pari a € 2 per ciascuna fattura, con un limite massimo di € 1.000 per ciascun trimestre, ridotta alla metà (€ 1 per fattura con un limite massimo di € 500), qualora la trasmissione avvenga entro 15 giorni dalla scadenza. Nella Risoluzione 28.7.2017, n. 104/E, l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto la possibilità di utilizzare il ravvedimento al fine di regolarizzare le violazioni relative all’invio della comunicazione dati fatture (c.d. “spesometroâ€). Si ritiene che il predetto chiarimento possa essere esteso, per analogia, anche alle violazioni relative al nuovo adempimento in esame (“spesometro esteroâ€) e che, pertanto, il contribuente possa regolarizzare la violazione tramite il ravvedimento.

    Pubblicata il: 20-09-2019

    Oggetto

    Mancanza di operazioni nel periodo e Comunicazione liquidazioni periodiche IVA

    Domanda

    Una società immobiliare (contribuente mensile) nei mesi di gennaio, febbraio e marzo non ha emesso alcuna fattura e non ha effettuato alcun acquisto. Nel mese di marzo è stato (soltanto) riportato il credito IVA 2018. Ciò comporta che all’Agenzia delle Entrate va inviata la Comunicazione liquidazioni periodiche IVA con la sola liquidazione IVA di marzo?

    Risposta

    Come desumibile dalle FAQ disponibili sul sito Internet dell’Agenzia delle Entrate, “l’obbligo di invio della Comunicazione non ricorre in assenza di dati da indicare, per il trimestre, nel quadro VP (ad esempio, contribuenti che nel periodo di riferimento non hanno effettuato alcuna operazione, né attiva né passiva). L’obbligo, invece, sussiste nell’ipotesi in cui occorra dare evidenza del riporto di un credito proveniente dal trimestre precedente. Pertanto, se dal trimestre precedente non emergono crediti da riportare, in assenza di altri dati da indicare nel quadro VP, il contribuente è esonerato dalla presentazione della Comunicazione. Si tratta, ad esempio, di un contribuente che effettua liquidazioni mensili e non possiede dati da indicare nel quadro VP per i mesi di aprile, maggio e giugno; in tal caso, in assenza di un credito da riportare dal mese di marzo, non è tenuto a presentare la Comunicazione con riferimento al secondo trimestre. Analogamente, per un contribuente con liquidazioni mensili è possibile non includere nella Comunicazione da inviare i moduli relativi ai mesi in cui si versa nella situazione sopra descritta, salvo il caso in cui sia necessario dare evidenza del riporto del credito proveniente dal mese precedenteâ€. Da quanto sopra deriva quindi che, nel caso di specie, la Comunicazione liquidazioni periodiche IVA del primo trimestre va inviata all’Agenzia delle Entrate con l’indicazione della sola liquidazione IVA del mese di marzo. Va tuttavia evidenziato che, qualora si provvedesse all’annotazione del credito IVA 2018 nel mese di aprile, l’obbligo di inviare la Comunicazione del primo trimestre verrebbe meno.