Il tema della sostenibilità è centrale nel settore tessile.
Ne parliamo con Davide Gobetti, Presidente del Settore Moda di Confartigianato Imprese Como.
1. Cosa si intende per sostenibilità nel settore tessile?
Il termine sostenibilità assume significato solo quando è completato in tutte sue possibili declinazioni: economica, ecologica e sociale.
Il settore tessile è tra i settori in cui la sostenibilità ecologica impatta maggiormente
L’utilizzo di acqua nelle operazioni di tintura, stampa e nobilitazione è elevato. Per quanto concerne i processi produttivi tessili, però, lo spreco di acqua e l’inquinamento dovuto all`immissione di sostanze nocive nell’ambiente hanno subito riduzioni importanti e sostanziali. Oggi l`inquinamento di processo come lo spreco di acqua si verifica per lo più nelle produzioni tessili di altri Paesi che hanno norme meno stringenti di quelle italiane e un percorso di riduzione dell`impatto ambientale meno radicato.
I problemi della sostenibilità ecologica del tessile sono inoltre generati da sovrapproduzioni legate a logiche di economie di scala che il mercato non è in grado di assorbire (invenduti) che sfociano spesso anche in una bassa durabilità dei prodotti causata da un basso livello qualitativo. Tutto questo si riassume con la definizione del famoso fenomeno detto della fast-fashion.
Dal punto di vista sociale, è importante ricordare i numeri importanti relativi all`indotto, in termini di imprese e relativi addetti, che il sistema tessile e moda manifatturiero genera, oltre all`elevata maturità in termini di tutele sia dei diritti che della salute dei lavoratori.
2. In merito alla sostenibilità ecologica, qual è la situazione attuale rispetto a riciclo e fine vita dei prodotti tessili oltre che della loro manutenzione?
Per quanto concerne il riciclo di prodotti finiti confezionati, inteso come fine vita dei prodotti tessili, mancano ancora ad oggi le strutture che se ne dovrebbero occupare. Si stima la necessità di almeno 200 imprese di medio/grandi dimensioni che dovrebbero essere attivate in tutta Europa.
Prima che questo accada, dovranno essere formalizzate ed emanate in modo chiaro e puntuale a livello europeo, e poi successivamente a livello nazionale, tutte le norme necessarie per le tutele delle imprese, dei lavoratori e dei consumatori.
La difficoltà principale è avere a disposizione tutte le informazioni necessarie per questo tipo di lavorazioni. Per attuare un processo di riciclo adeguato di un capo confezionato, ad esempio, è fondamentale conoscere la composizione fibrosa di tutti i tessuti che lo compongono. Sarebbe impensabile e antieconomico che, per ogni capo da riciclare o parte di questo, un’azienda debba sobbarcarsi i costi delle analisi chimiche necessarie per avere la certezza delle loro composizioni. Questa purtroppo è solo una e una parte delle informazioni che servono, e occorre anche ricordare che molti capi confezionati presentano varie parti anche non tessili utili per il loro confezionamento finale; quindi, le complessità aumentano in modo esponenziale.
Ci sono però oggi gli strumenti per creare un sistema globale di tracciabilità affidabile (per esempio su blockchain) in cui tutta la filiera tessile, che sta a monte di chi poi commercializza i prodotti finiti, possa opportunamente inserire questo tipo di informazioni che poi potrebbero facilitare, a fine vita, le operazioni di riciclo.
Le complessità come le titubanze rimangono, quindi alcuni verosimilmente prevedono che, per necessità di semplificazione relativamente a questi ultimi argomenti, nei prossimi anni la tendenza potrebbe essere quella di uniformare la natura fibrosa dei capi finiti confezionati, in modo che questa sia unica o perlomeno, dal punto di vista del riciclo, assimilabile (mono-composizione, 100%…).
Il concetto di opportuna e adeguata manutenzione è fondamentale per la durabilità dei prodotti tessili.
Purtroppo, le indicazioni di manutenzione di un capo tessile confezionato, ad oggi dal punto di vista normativo non sono obbligatorie. La legge norma il modo in cui le informazioni devono essere comunicate, per intenderci la simbologia che descrive la temperatura del lavaggio, la possibilità di lavare in acqua piuttosto che a secco e se e come stirare i capi.
Ma purtroppo, quando presenti, troppo spesso le indicazioni di manutenzione non risultano essere le più adeguate per il tipo di prodotto o per il migliore ottenimento del risultato, ma piuttosto le più cautelative nell`interesse di chi lo commercializza.
Ciò svilisce il ruolo dei prodotti di livelli qualitativi superiori.
Capita infatti di trovare etichette che riportino solo “crocette” (non lavabile, non saturabile…), questo è un non senso dal punto di vista della sostenibilità ecologica e della durabilità dei prodotti, tendendo inoltre e purtroppo commercialmente ad avvantaggiare prodotti a basso costo a discapito di prodotti migliori.
3. Che importanza assumono l’etichettatura e la tutela del Made in Italy?
Purtroppo, l`attuale normativa rispetto all`indicazione dell`origine dei prodotti tessili prevede che si possa indicare in etichetta la dicitura “Made in Italy”, se l`ultimo e più importante dei passaggi della produzione di un bene è stato realizzato in Italia. Qui si intende nello specifico la confezione.
Questo vuol dire che:
se il tessuto è stato disegnato/progettato “altrove`,
se i filati sono stati prodotti “altrove”,
se quei filati sono stati tessuti/intrecciati “altrove”,
se il tessuto è stato tinto, stampato e finito “altrove”,
… tagliato, imbastito, … “altrove”,
ma se l’ultima operazione principale di confezione è stata realizzata in Italia, allora chi immette i prodotti sul mercato può legittimamente riportare in etichetta la dicitura “Made in Italy”.
Più volte, in accordo con tutte le associazioni di categoria, noi di Confartigianato Imprese Como abbiamo sostenuto politicamente la necessità di riportare in etichetta almeno i quattro passaggi fondamentali, cioè: disegno/progettazione, tessitura, nobilitazione e confezione. Infatti, quanto realizzato in Italia o perlomeno in Europa, è assicurazione di rispetto delle normative e tutele dei lavoratori, delle persone e dell’ambiente.
La tutela del Made in Italy passa necessariamente da una opportuna informazione di chi acquista.
4. Quali sono le strategie messe in campo dall’UE rispetto alla sostenibilità dei prodotti tessili e quali le proposte avanzate da Confartigianato?
L’Unione Europea ha da poco votato le nuove norme per il tessile sostenibile, dopo un periodo di confronto con le parti sociali. Gli obiettivi iniziali erano principalmente legati due concetti: alla disciplina dell’EPR, la cosiddetta “responsabilità estesa del produttore”, e l’eco-design.
La responsabilità estesa del produttore è relativa al concetto di riciclo a fine vita dei prodotti tessili. Prevede che i produttori si facciano carico in questi termini almeno di parte dei costi di informazione dell’acquirente e dei costi di riciclo.
La prima questione che è stata sollevata in termini di osservazioni riguarda proprio la definizione di produttore. Le proposte di legge alternavano infatti, apparentemente senza grossa differenza in termini, il ruolo di chi produce con quello di chi commercializza. La differenza è sostanziale e abbiamo chiesto più volte di chiarirla e definirla. L’obiettivo, è stato chiaramente espresso, era anche di limitare e punire le sovrapproduzioni legate a logiche di economie di scala, e che finiscono in enormi e imbarazzanti discariche a cielo aperto in genere in paesi lontani detti “del terzo mondo”, impattando in modo drammatico sia sull’ecosistema e sia sulla vita degli abitanti di quelle zone. Chi produce, i nostri produttori tessili per intenderci, non lo fa mai però per riempirsi i magazzini di prodotti finiti. Lo fa invece è sempre in seguito alla richiesta specifica di chi poi commercializza.
Se chi commercializza prodotti finiti confezionati è guidato da logiche di scala tali per cui, se anche produce il doppio di quello che probabilmente venderà, alla fine avrà un importante margine… di chi è la responsabilità?
Differente è la responsabilità dei grossi marchi che commercializzano in tutto il mondo, rispetto quella di una sarta che realizza un capo unico ed esclusivo.
Le considerazioni e gli ulteriori emendamenti che seguiranno nei prossimi mesi vedranno sicuramente ancora l’importante partecipazione di Confartigianato con un ruolo attivo e partecipe.
Il concetto di eco-design prevederebbe la presenza e l’introduzione di designer che, oltre ad essere cultori ed esperti del bello, siano anche competenti di tutti i passaggi del processo e possano per questo attuare scelte consapevolmente sostenibili nel percorso di ricerca e sviluppo dei nuovi prodotti. Il rischio che stiamo cercando di arginare come sistema è quello della perdita di competenze specifiche di cui il tessile e Como sono riconosciuti e apprezzati eccellenze a livello internazionale. Pensare di poter formare e introdurre ruoli come questo sembra quantomeno improbabile.
Le prossime occasioni di confronto saranno importantissime, sia a livello nazionale che a livello europeo, per cercare di far comprendere e sostenere la valorizzazione in generale del manifatturiero. Questo infatti genera lavoro, formazione, cultura, benessere e crescita; rispetto agli altri sistemi di business che spesso si limitano a importare, magari da dove tutti i concetti della sostenibilità non sono diffusi e rispettati, e rivendere apponendo note etichette con l’unico intento del guadagno di pochi e senza una visione rispettosa, globale e a lungo termine.
5. Come scegliere un capo tessile?
Ad oggi le etichette sui prodotti, per quanto concerne origine, composizione e manutenzione, spesso non sono complete o perlomeno non permettono delle scelte opportunamente informate e consapevoli.
Il “fatto su misura” e il prodotto sartoriale permettono sicuramente di compiere acquisti sostenibili, con un giusto rapporto tra costo e qualità. A differenza di quanto si possa pensare, infatti, questi non sono prodotti elitari o riservati a classi privilegiate.
Per fare un esempio, se compriamo una T-shirt al prezzo di 5,00 euro, sicuramente questa non è stata prodotta in Italia, o meglio, nemmeno due dei quattro passaggi fondamentali si è svolto in Italia.
6. Como città della moda sostenibile: quale ruolo assume Unesco in tale contesto?
Como città creativa per UNESCO, per la categoria artigianato e arti popolari, specificità tessile e sostenibilità.
UNESCO in tutto questo ha il significato che la cultura, intesa come formazione, informazione e diffusione dei principi fondamentali per poter per lo meno fare scelte in modo consapevole, è il paradigma per provare a costruire un futuro migliore.
A cura di Francesca Sormani