Siamo nel lontano 2005, quando, in una pagina alquanto defilata de “Il Sole 24 Ore”, appare un articolo dal titolo: “Una svolta piena per le crisi d’impresa”.
È cosa risaputa che società e mercato viaggiano a velocità diverse rispetto alle norme e non scandalizza che nell’articolo l’autore evidenzi come il Bel Paese sia ancora dotato di una legge fallimentare gestita da un regio decreto del 1942.
Poco male. È con la riforma del diritto societario del 2008 che viene sancita una netta distinzione tra proprietà e gestione d’impresa: è l’organo amministrativo ora al centro del governo dell’impresa e per tale motivo lo stesso non si può esimere da tale responsabilità. Sono i primi passi in direzione di un cambiamento culturale e aziendale volto ad avere un approccio più attento nella gestione di potenziali rischi futuri d’impresa e ridurre la probabilità di conseguenze negative per la continuità aziendale.
L’importanza della cultura preventiva del rischio l’abbiamo saggiata sulla nostra pelle a livello globale negli stessi anni, anche se a volte non sono sicuro la lezione ci sia bastata.
Passeranno anni di rattoppi, interventi e modifiche al regio decreto, ma sarà concretamente nel 2017 che vedrà la luce il “Codice della crisi e dell’insolvenza”, una significativa revisione organica del comparto concorsuale, la cui attuazione viene demandata a un decreto legislativo di febbraio 2019 e la cui decorrenza è fissata ad agosto 2020.
Cambia tutto, quindi? Sì, ma senza fretta. D’altro canto il vento del cambiamento talvolta porta temporali e così nel 2020 ci porta un evento tragico e disarmante, si chiama COVID e le nostre vite non saranno più le stesse.
Parole come lockdown, pandemia, distanziamento sociale, didattica a distanza, entrano nel nostro vocabolario senza bussare alla porta. Il resto può aspettare.
Mesi, poi anni di rinvii, legati anche alla necessità di armonizzare la normativa interna a quella europea, impegnata sullo stesso fronte con la Direttiva Insolvency, quindi gli ultimi colpi di trucco a giugno 2022 e “finalmente” dal 15 luglio 2022 è in vigore il Codice della crisi d’impresa. Nello stesso giorno “il Sole 24 Ore” titola, questa volta in prima pagina: “Crisi d’impresa, da oggi operative le procedure per tempi più stretti”.
Il cammino in ginocchio verso Santiago de Compostela è finito.
Di cosa si tratta e chi è interessato da questo strumento, dunque?
Il “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” è applicabile a qualsiasi debitore, esercente un’attività commerciale, artigiana o agricola, operante come persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo con esclusione degli Enti pubblici, e ha come finalità:
- l’introduzione di una diagnosi precoce dello stato di difficoltà dell’impresa;
- la salvaguardia della capacità imprenditoriale tramite la creazione delle condizioni affinché l’imprenditore possa avviare, in via preventiva, le procedure di ristrutturazione volte a evitare che la crisi diventi irreversibile nell’ottica della continuità aziendale.
Un’importante modifica della normativa è legata all’eliminazione del sistema di allerta basato sull’utilizzo di indici e indicatori, in favore di una visione meno “bilancistica” e più “sistemica”: all’impresa è richiesto di adottare un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato per rilevare tempestivamente lo stato di crisi.
“Sistemica” si diceva e la parola adeguato inchioda senza dubbi chi governa il sistema aziendale; adeguato a chi se non alla propria organizzazione?
Il “Codice” definisce crisi lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte con regolarità alle obbligazioni aziendali nei successivi dodici mesi.
La crisi si può prevedere, ci sta dicendo la normativa, e le iniziative idonee e tempestive devono essere assunte direttamente dall’imprenditore mediante misure e assetti rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività svolta.
Pertanto l’imprenditore dovrà rilevare:
- squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario;
- verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi;
- ricavare informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo e a effettuare il test pratico presente sulla Piattaforma telematica nazionale per la verifica della perseguibilità del risanamento.
Qui la norma torna meno “sistemica” e si fa puntuale, sono segnali rilevanti di uno stato di crisi:
- debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni pari a oltre il 50% dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
- debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 giorni pari a un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
- esposizione nei confronti di intermediari finanziari e banche scadute da oltre 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti (a condizione che rappresentino almeno il 5% del totale delle esposizioni);
- esistenza di una o più esposizioni debitorie verso:
o INPS: ritardo di oltre 90 giorni nel versamento di contributi previdenziali superiori al 30% dei contributi dovuti nell’anno precedente;
o INAIL: debito per premi assicurativi scaduto da oltre 90 giorni superiore a 5.000 euro;
o AGENZIA DELLE ENTRATE: debito IVA scaduto e non versato risultante dalla Comunicazione LIPE superiore a 5.000 euro;
o AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE: crediti affidati per la riscossione scaduti da oltre 90 giorni superiori a:
§ 100.000 euro per le imprese individuali;
§ 200.000 euro per le società di persone;
§ 500.000 euro per le altre società.
La procedura di composizione negoziata della crisi consiste per l’imprenditore di poter richiedere alla Camera di Commercio la nomina e l’intervento specialistico di un esperto presente nella predetta Piattaforma telematica.
A procedura in corso l’imprenditore:
- mantiene la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa;
- può richiedere l’applicazione di misure protettive del patrimonio, inibendo terzi creditori da possibili azioni esecutive e cautelari.
Sorvoliamo gli ovvi esiti che la procedura di composizione negoziata della crisi possa avere per l’imprenditore, anche se tra il bianco di un accordo o di una moratoria e il nero di una liquidazione giudiziale, ci sono una svariata gamma di grigi a cui attingere, nonché effetti premiali di natura tributaria.
Preme invece dirigere lo sguardo verso la definizione di imprese “sotto soglia” che come già chiarito non sfuggono al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e verso le quali risultano compatibili le medesime disposizioni previste per la generalità delle imprese.
Sono considerate “minori” le imprese che soddisfano congiuntamente i seguenti tre requisiti nei tre esercizi precedenti (o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore):
- Attivo Patrimoniale annuo non superiore a 300.000 euro.
- Ricavi lordi annui non superiori a 200.000 euro.
- Ammontare di Debiti, anche non scaduti, non superiori a 500.000 euro.
Usciamo finalmente dai tecnicismi e ritorniamo a quello che è uno dei tratti fondamentali della norma: la prevenzione della crisi e la centralità della peculiarità aziendale in tema di misure e assetti preventivi.
Torniamo quindi a quelli che abbiamo definito gli aspetti “sistemici” dell’impresa, la quale è chiamata a rivolgere verso sé stessa una serie di operazioni sartoriali in tema di organizzazione, amministrazione e contabilità.
È risaputo in tutto il mondo come il nostro comparto imprenditoriale sia capace di genio e innovazione, ma sappiamo altrettanto come le aziende – anche di medie dimensioni, specie se a conduzione familiare – siano più concentrate sul fare e badano poco alla dimensione organizzativa.
Semplificando sono più orientate da una visione monodimensionale che da una visione tridimensionale di sé.
Forse sta definitivamente tramontando la visione “di pancia” che l’imprenditore fa della propria azienda e mai come oggi la necessità è quella di una visione che vada oltre – per così dire dentro la pancia – verso la stessa identità aziendale.
Se guardiamo alla luna e non al dito, la portata di questo riassetto del comparto concorsuale si colloca in uno scenario di più ampio respiro.
Non lo impone la globalizzazione, l’instabilità economica, la guerra e non lo impone neppure il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza; lo impone la stessa sopravvivenza dell’impresa nel mercato.
Per una situazione complessa ci vuole uno sguardo complesso. L’impresa non può essere un’eccezione.
Meglio prenderne subito consapevolezza, prima di trovarsi a dire, a torto o a ragione, “c’è crisi”.
A cura di Luigi Russo